> Eppure i sospetti c’erano. 
> «Vincevo, ero italiano e il boss della mia squadra, Vinokourov, aveva un passato ambiguo come altri manager. Sono stato pedinato, mi hanno aperto la macchina e controllato il telefono e sono sicuro che mi siano entrati anche in casa per trovare prove che non esistevano. I ciclisti erano bersagli facili. Mai nella vita mi sono dopato e soprattutto mai ho pensato di farlo. Mi hanno controllato un milione di volte, possono testare le provette tra cent’anni. A testa alta, sempre». 
> E adesso, Vincenzo? 
«Faccio mille cose, tra cui promuovere il Giro d’Italia. Ma soprattutto, vivo. In aprile ho viaggiato in Sicilia con la famiglia per mostrarla bene a Emma e Miriam, le bambine. A due anni dal ritiro, il primo viaggio da turista della vita: Cefalù, la valle dei Templi di Agrigento, la Villa del Casale di piazza Armerina. Tornando a casa siamo passati davanti al Museo Regionale ed Emma mi ha chiesto cosa ci fosse da vedere. C’è Antonello, le ho detto, un gigante della storia dell’arte. Quando la vedi tramite Antonello o dalle grandi foreste dei Peloritani, Messina è davvero “u megghiu posttu nto munnu”». 

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